giovedì 26 maggio 2011

elegia del non voto












Eccomi qui.
In questi giorni di elezioni.
Ad un passo dai quesiti referendari.
A schivar consigli.
Proclami.
Proiezioni.
Commenti a caldo.
Mi tappo gli occhi per non scorger vincitori, più che perdenti.
Serro le orecchie, per non sentir lamenti.
Grida di giubilo.
Botta e risposta.
Nuove promesse.

Il voto presuppone partecipazione.
Non è una teoria. E' definizione.
Votare è prendere parte.
Esprimere una scelta.
Legittimare.
Non solo un candidato.
Ma un sistema intero.

Io ritengo che il sistema sia corrotto.
Obsoleto.
Fuorviante.
Malizioso.
L'evidenza è imbarazzante.
E disarmante.

Nel mio mondo l'acqua è di tutti.
Della terra, prima che dell'uomo.
Non pagherò mai per la mia sete.
Non ho bisogno di esprimere una scelta.
Perché la scelta l'ho già fatta.
Chiara e condivisa.
La domanda è postuma.

Non necessito rappresentanze.
So badare a me stesso.
Riconosco il giusto e lo sbagliato.
Perché li ho assaggiati entrambi.
Ne mangio in continuazione...
Dovrei votare perché qualcuno, in un altro posto, che non conosco, decida cosa o meno debba fare?

Non è soltanto anarchia.
Questa cosa è logica.

Anche la democrazia è prevaricazione.
Le minoranze, infatti, subiscono.

E non parlatemi di responsabilità.
Di senso civico.
Di civile convivenza.
Di diritti/doveri.
Di convenienza.
Di tradizione.
Della storia.
Di futuro.
Di costituzione.
Di bandiere.
Di carte dei diritti.
Di mancanza di alternative.
Conosco gli argomenti.

Si potrebbe lavorare dall'interno.
Rosicando centimetri.
Aspettando pazienti.
Fiduciosi e illuminati.
Il cambiamento tanto atteso.
Spendendo parole.
Energie.
Moneta sonante.
Lavoro.
Seguendo correnti.
Reclutando adepti.
Proiettando risultati.

Per me è clamorosamente più semplice.
Un sistema corrotto è soltanto un sistema corrotto.
Perché partecipare?

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